Busacca non era Busacca? di Paolo Militello

L’ultimo libro di Francesco Pellegrino e i dubbi sul soprannome del benefattore sciclitano

  • di Paolo Militello

La bella recensione che don Ignazio La China ha pubblicato sull’ultimo numero di “Dibattito” ha attirato la mia attenzione sull’ultimolibro di Francesco Pellegrino (Pietro di Lorenzo. L’uomo, il genio, il mercante, The Dead Artists Society, Catania 2021, pp. 510).Si tratta di un volume dedicato a uno dei personaggi più importanti di Scicli, di cui però più che il nome (Pietro Di Lorenzo) di solito ricordiamo il soprannome: Busacca. A questo protagonista della storia sciclitana è già stato dedicato un libro, quello dello storico contemporaneista Giuseppe Barone, intitolato significativamente “L’oro di Busacca” (Sellerio, Palermo 1998), un importante lavoro nel quale sono stati ricostruiti soprattutto gli aspetti relativi all’amministrazione della ricca eredità. Per quanto riguarda la vita di Pietro Di Lorenzo, invece, a tutt’oggile notizie si perdono fra le nebbie della leggenda. Proviamo, allora, a riassumere quello che sappiamo, e poi vediamo le novità che il libro di Pellegrino ci dà.

Vita ed eredità di un benefattore

Pietro Di Lorenzo nacque a Scicli tra fine ‘400 e inizio‘500 (nulla si sa ancora sulla sua data di nascitané su quella di morte). Ancora ragazzo si trasferì a Palermo, dove divenne un“protetto” dello sciclitano Biagio Bonincontro, personaggio di spicco nella capitale del Regno. Lì si arricchì tantissimo, prima con la “mercatura” e poi con scaltre operazioni finanziarie e prestiti (a interesse, non ad usura), arrivando a gestire anche gli introiti della Bolla della Santa Crociata.Solo una morte prematura, a metà del mese di luglio del 1567, interruppe i suoi affari e la sua carriera. E da quel momento la sua storia si trasformò in “leggenda”.

Nel testamento, Di Lorenzo mise in atto un’operazione sicura e redditizia per proteggere e far fruttare la sua eredità: la vendita all’asta di tutti i beni e il deposito del ricavato nel Banco pubblico (la Tavola di Palermo) allo scopo di acquistare delle rendite sicure. Il capitale fu, così, destinato a crescere in maniera esponenziale, con un fine ben preciso: l’assistenza e la beneficienza (come ad esempio le famose venti onze per il «maritaggio» delle «donzelle povere»). La gestione di tutta questa ricchezza venne, poi, data alla confraternita di Santa Maria la Nuova; la sorveglianza, invece, fu affidata all’altra confraternita della città, quella di San Bartolomeo, e il denaro liquido venne riposto in una cassaforte che poteva essere aperta solo da tre chiavi: una la teneva il rettore di Santa Maria La Nova, una quello di San Bartolomeo e la terza il Vicario di Scicli.

Dopo l’Unità d’Italia, l’eredità fu impiegata in una «pietrificazione» della rendita: i proventi vennero utilizzati per completare l’impianto urbanistico e le infrastrutture civili di Scicli, venne costruito Palazzo Busacca e, infine, nella piazza antistante, fu collocata una statua del benefattore, con un’epigrafe che lo definiva «grande nei secoli». Successivamente, tra fine Ottocento e inizio Novecento, i proventi servirono a realizzare una «città ospedaliera», l’Ospedale Busacca, un avveniristico «policlinico» a padiglioni isolati e distinti secondo le malattie. Questo processo virtuoso sarà purtroppo destinato a interrompersi durante la prima metà del XX secolo. La svalutazione, infatti, intaccherà in maniera drammatica il patrimonio che, giorno dopo giorno, perse quasi tutto il suo valore. Oggi l’oro di Busacca non c’è più. Restano soltanto le opere che portano il suo nome(anzi il suo soprannome: l’ospedale, il palazzo, la piazza), a memoria di un gesto di generosità durato più di quattro secoli. Eresta la leggenda di «cuomu Busacca addivintàu riccu»: una “favola” che i nostri anziani raccontano ancora oggi.

Ma Pietro Di Lorenzo fu veramente Busacca?

Fin qui, la storia/leggenda che conosciamo. Adesso il libro di Francesco Pellegrino ci aiuta a riconsegnare questo personaggio alla storia. Da più di quindici anni l’autore conduce ricerche appassionate negli archivi italiani e stranieri, e da tempo ci consegna preziose trascrizioni di documenti che offrono nuove informazioni sulla storia del nostro territorio.

Anche in questo caso Pellegrino è partito dalla raccolta di una ricca e preziosa documentazione archivistica. Due terzi del libro comprendono infatti le trascrizioni di fonti trovate presso gli archivi di Scicli, Modica, Agrigento, Palermo, Simancas, Madrid etc.: una corposa base documentaria con la quale ricostruisce la vita di Pietro Di Lorenzo.Lascio ai lettori il piacere di leggere e scoprire, ma voglio anticipare qualche novità. Innanzitutto, vengono fornite nuove informazioni sulla famiglia. In più, Pellegrino anticipa il sospetto che Pietro fosse in realtà figlio naturale di Bonincontro. Su questo non ci sono ancora certezze, ma l’autore si riserva di fare ulteriori indagini. Si scopre anche che per un certo periodo Pietro fu attivoa Sciacca («l’altra sua patria», scrive Pellegrino) e la ricostruzione che l’autore fa delle mercature e delle operazioni finanziarie aiuta a comprendere meglio la scaltrezza e il genio finanziario del giovane Di Lorenzo. Vengono, poi, analizzate le vicende che portarono alle diverse redazioni del testamento. Qui il racconto di Pellegrino si popola di falsi amici e di complici sciacalli, che cercarono di impadronirsi, senza riuscirci, del patrimonio del moribondo, manipolandonele ultime volontà.

Ma è sul soprannome Busacca che Pellegrino scompagina le carte. Come è risaputo, Busacca è nome ebraico. L’autore, allora, innanzitutto si chiede: come avrebbe potuto la Chiesa cattolica affidare l’amministrazione della Bolla della Santa Crociata a un ebreo, sia pure convertito? E poi, in centinaia di atti consultati, il soprannome Busacca non viene mai utilizzato: da dove è venuto fuori, allora, questo “Busacca”?Si potrebbe rispondere: dal “Rollu di li acti di la ecclesia Santa Maria Pietati di Xicli”, antica raccolta di documenti nei quali viene ricostruita la genealogia dei Di Lorenzo: una fonte archivistica da noi conosciuta non in originale ma grazie a una copia del Seicento. E qui viene il bello, perché pare che quest’ultimo documento sia un falso (don Ignazio La China ce ne dovrebbe dare conferma in una prossima pubblicazione).

Ecco, allora, l’ipotesi (abbastanza convincente) di Pellegrino: il soprannome Busacca è stato “confezionato” dopo la morte di Pietro Di Lorenzo, nel Sei-Settecento (o anche oltre), probabilmente per sminuirne la figura e l’operato. Forse per incamerare la gestione del patrimonio? E chi sarebbe stato l’autore di questa operazione: l’altra confraternita? la Chiesa? o lo Stato? Aspettiamo che dagli archivi emerga qualche documento che faccia luce su questo “affaire” e ci consenta di rispondere a queste domande.

Nel frattempo (lo dico tra il serio e il faceto) dovremmo forse cominciare a eliminare il nome Busacca dai nostri monumenti?Io credo di no. In fondo, anche i “falsi” fanno la storia. E Busacca, vero o falso che sia, è ormai parte integrante della storia di Scicli. 

Paolo Militello

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