Vito Zagarrìo: “Lo sguardo di Franco Polizzi”

Vorrei partire da un quadro. Si chiama Notte dei Balcani, ed è un omaggio diretto a un film: Prima della pioggia, un film del 1994 scritto e diretto da MilčoMančevski, che ha vinto a suo tempo il Leone d’Oro alla 51ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha avuto la nomination all’Oscar come miglior film straniero, è stato un film di culto per una generazione intellettuale. Franco Polizzi dipinge questo quadro che è una specie di tableau vivant, una sorta di freeze frame del fotogramma diMančevski rielaborato in forma pittorica. Il quadro, tra l’altro, si presenta come dimidiato, spaccato, o meglio “aumentato”: alla tela principale che ricalca quasi filologicamente il fotogramma del film, viene aggiunta una parte superiore, composta di solo cielo; un’ “aria in testa” per usare un termine cinematografico che dà al quadro un senso di un’opera “espansa”, come il cinema della postmodernità.

Il quadro ha una dominante blu notturna, è dominato da una collina scura che potrebbe essere un vulcano, ed è soprattutto diviso in due (quasi 2/3 e 1/3) da una linea grafica (nella “realtà” forse un lungo arbusto). Nella parte maggiore, si nota la silhouette di una figura umana. Notte dei balcani è dunque un “testo” importante da cui si potrebbe partire per un “paradigma indiziario” sull’opera di Polizzi.

Ho seguito – e a volte filmato– negli anni alcune personali di Franco: da quella di Ragusa del 2013 (I giorni e le opere), a quella di Scicli del 2014, Intorno al paesaggio; da quella – piccola ma estremamente significativa – alla Virus Gallery di Roma, nel 2017, a quella, imponente, del Silva Siri del 2019: Visione Luce. Ogni volta mi ha colpito la possibilità di vedere i quadri in maniera diversa, di fare dei viaggi differenti a seconda dei punti di vista di partenza. Ho già avito modo di parlaresu queste pagine del senso dell“inquadratura” di Franco, che molto ha a che fare col cinema e con la fotografia. Lo sguardo di Franco parte dall’osservazione della realtà ( a volte uno scorcio di realtà povera, una stazione abbandonata, la porta di un casolare, un fico d’india) per sublimarla; partendo sempre da una forte composizione del quadro/in-quadratura.  Da qui l’attenzione al paesaggio ibleo, che a volte diventa però metafisico e “fantascientifico”.

Ecco, mi viene in mente proprio la fantascienza: prendiamo i “buchi neri” dentro cui i quadri di Polizzi invitano lo spettatore ad entrare. Dentro una porta, dentro, una finestra, dentro un “nero” ci si può perdere e attraversare il tempo e lo spazio. Da nero a nero, si può entrare dentro una porta di campagna ed uscire nel passato, dentro la contestazione giovanile degli anni settanta, e poi volare, misticamente, verso un tormentato Cristo in croce che però ricorda il cadavere di Che Guevara del ’68.

Intrigante e inquietante è l’idea liminale della porta, della finestra, del davanzale, dello stipite: “soglie”, per dirla con Genette quando parlava dei “dintorni dei testi”. Modi di essere ai bordi, sul limite di un discrimine: tra realismo e antirealismo, ad esempio, tra laicità e spiritualità, tra classicismo e postmodernità, tra nostalgia e futurismo. Come dimostra l’enorme lavoro di studio e di citazione, i “d’aprés” dai grandi maestri , da Velasquez a Vermeer, da Mondrian a Cezanne, da Bernini a Leonardo. Un esercizio di riproposizione del classico in forma di postmoderno, in maniera citatoria, con dei riappropriamenti autoriali.

MI interessa molto lo sguardo di Franco, a volte contemplativo come quel suo personaggio alla finestra in Relais (apparizione da Velasquez), a volte invece in viaggio, come quello sguardo lanciato da un finestrino in In viaggio (paesaggio in velocità). A volte ci si perde nella dolcezza trasparente del mare di Cava d’Aliga (Mare 1912), altre volte ci si può addolorare con i viluppi diNuvole sull’Altopianoo tormentare con le tensioni di un fico d’india che tenta di farsi strade fuori di una porta di campagna (Senza titolo).

Riguardando l’opera di Franco, nelle sue mostre, nei bei cataloghi, nelle tante immagini del suo sito, mi vengono in mente due citazioni kubrickiane che hanno a che fare, appunto, con lo sguardo: una è il titolo dell’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut, “ a occhi chiusi spalancati”, un ossimoro o un paradosso che dice motlo però del modo di vedere del grande regista. L’altro è “Overlooking”, come il nome dell’hotel di Shining, che significa “straguardare”, “guardare oltre”. Ecco, questo straguardare, questo guardare oltre e attraverso, questo guardare a occhi (soc)chiusi ma al tempo stesso spalancati sulla realtà, mi pare uno dei molti modi per analizzare – e al tempo stesso amare – l’opera di Franco Polizzi.

Vito Zagarrìo

 

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