SE FOSSE UNA LETTERA, COMINCEREI CON “CARO RIONDINO”…di don Ignazio La China

Sono stato a vedere il Film “Palazzina Laf”. Confesso che non sapevo la trama del film. Ci sono andato perchè Riondino a me piace come attore e per me il vero Montalbano è lui per la sua interpretazione meno saccente dell’altro (non credo sia solo per la giovinezza…). E debbo dire che sono rimasto coinvolto e non solo emotivamente per il tema trattato (fra l’altro come non ricordare Gela, Priolo, Augusta?). Un film coraggioso e che rivela un Riondino impegnato politicamente nel vero senso della parola, di un amore per la sua polis, Taranto, appassionato al punto da diventare amarezza e rimprovero. Ho rivisto nella passione civica di Michele gli anni della lotta e dell’impegno e un po’ la delusione per il disimpegno di oggi. Con un amico si commentava in sala l’assenza di giovani alla proiezione. La stessa delusione espressa dal Riondino in una battuta che riassume in sé il declino della politica: la classe operaia ridotta a pura categoria (contrattuale). Interessante il dibattito dopo la proiezione. Tra temi squisitamente politici e attualità cinematografica. E perciò non sono voluto intervenire. Ma mi è rimasta in cuore una osservazione (o se volete una domanda) che voglio condividere almeno con voi, non sapendo se il Riondino la leggerà mai. Da prete (deformazione professionale) ho visto che il film comincia con il mosaico dell’abside della chiesa (che fra l’altro io ho visitato) dove il Cristo benedice tutte le attività che si fanno a Taranto (e quindi anche le acciaierie). E c’é poi la marcia funebre del Venerdì santo (suonata anche a Scicli) che ricorre in diversi momenti del Film. E anche la stessa processione dei Misteri del Venerdì santo, inserita nell’incubo di Caterino fino al punto della identificazione Caterino – Giuda nel momento del bacio traditore a Cristo. Debbo dire che è una scena molto intensa. Con un richiamo molto forte: quasi a sottolineare che Taranto stessa e gli operai della Palazzina Laf stessero vivendo la loro settimana di passione e morte. Ma direi anche di denuncia di una città che si coinvolge in quello che dovrebbe essere un momento di devozione e che però non coglie la sofferenza dei suoi operai. Come per me è stata forte la provocazione della messa del Vescovo in acciaieria, dove la stessa sua persona era sfocata. Di fatti, una Chiesa assente… Io non so con quale e quanta consapevolezza Michele abbia inserito queste scene, ma siccome ermeneuticamente l’opera d’arte parla al di là delle intenzioni dell’autore, a me il film ha comunicato la necessità di una Chiesa che ritorni a stare accanto a chi soffre e lotta nel suo posto e per il suo posto di lavoro. Paolo VI nella Notte di Natale del 1968 proprio in quella acciaieria, allora Italsider a Taranto, confessò l’incapacità della Chiesa di riuscire a parlare coi lavoratori eppure la voglia di risanare la frattura, di far sentire la vicinanza di un Dio che per stare vicino agli uomini si era fatto lui stesso uomo. Bisognerebbe partire proprio da qui. Grazie Riondino per avercelo ricordato.

Don Ignazio La China

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