Lettera di una studentessa di Donnalucata a Denis Cavatassi

La classe quarta Tb del Cataudella di Scicli ha risposto all’appello di Denis Cavatassi, l’unico italiano condannato a morte in Thailandia, che lotta per la sua innocenza e che ha chiesto agli italiani di
inviargli delle mail per raccontargli le loro vite. Una delle lettere vale la pena di essere letta e meditata non solo da Denis.

“Caro Denis,

sono Adriana, una ragazza di diciassette anni e ho conosciuto la tua storia a scuola, durante l’ora d’italiano. La tua storia mi ha toccato molto e per questo ho deciso di scriverti. Abito a Donnalucata, in provincia di Ragusa. Sono diversamente abile dalla nascita a causa di un errore medico. La mia disabilità consiste nell’avere dei problemi motori. Come tutte le ragazze di diciassette anni, ho molti sogni nel cassetto, uno di questi è quello di scrivere un libro sulla mia vita per far capire alla gente che essere disabile non significa essere cretina. La nostra società è piena di bullismo, stereotipi su di noi, fondati sul nulla.

Da poco più di un anno ho aperto una pagina Facebook dove parlo di disabilità e dei mille problemi che purtroppo ancora oggi nel 2018 dobbiamo superare. Ho creato questa pagina soprattutto per mia sorella Anastasia, che dall’età di dieci anni vive in carrozzina. Sai, noi diversamente abili non abbiamo una vita facile. Le persone, il più delle volte, guardano soltanto la ragazza che sta in carrozzina e l’altra che ha problemi alla deambulazione, ma nella nostra vita, purtroppo non c’è solo questo. Nella nostra vita ci sono degli ortesi, che sono una specie di stivali, che pesano un chilo ciascuno, da indossare tutte le mattine per permetterci di deambulare meglio o tenere soltanto il piede dritto. C’è la terapia da fare tre volte la settimana, per quarantacinque minuti. Ci sono persone che ti prendono in giro qualsiasi cosa tu dica o faccia perché hai soltanto dei problemi motori, oppure ci sono persone che non vogliono stare insieme con te, magari solo nei banchi di scuola, perché si sentono stupidi a stare accanto ad una compagna diversamente abile. Ci sono le barriere architettoniche che non ci permettono di vivere una vita da indipendenti. Ci sono alcuni lavori che vorresti fare, ma che non puoi, a causa della tua condizione fisica, perché le leggi non te lo permettono e, di conseguenza, a volte ti senti sbagliata a questo mondo, ti senti inutile, ti senti arrabbiata per una vita che non è come avresti voluto.

Col tempo però cresci, maturi e ti rendi conto che nella vita non ti resta, alcune volte, che accettare la propria situazione, soprattutto quando non puoi cambiarla. Non è rassegnazione, è semplicemente trovare la forza di non arrenderti mai. Io non mi rassegnerò mai al dolore che porto e che porterò per sempre con me, fino all’ultimo mio respiro, ma intanto non risolvo niente se mi arrabbio con il mondo intero, perché significherebbe non vivere più. Non dimenticherò mai una frase che mi disse una mia amica, madre di cinque figli, tra cui due più piccoli di me di qualche anno. La frase era: “continua a sorridere, anche se il tuo cuore piange”. Io continuerò a sorridere perché l’arte della vita non sta nel soffrire, ma nel continuare a sorridere. Di sicuro ti starai chiedendo, dove trovo tutta questa forza ed io voglio risponderti subito, così non ti lascio col dubbio. Trovo la forza nella mia grande famiglia. La trovo in mia mamma e mio papà che nonostante le mille difficoltà hanno trovato la forza di seguirci, stando sempre insieme. La trovo nei sacrifici che, purtroppo, hanno dovuto affrontare per farci diventare le ragazze che siamo diventate. La trovo nelle mie sorelle che, per parecchi anni, hanno dovuto crescere in qualche modo senza una mamma e un papà accanto, negli anni della loro adolescenza, perché avevamo intrapreso il nostro lungo percorso all’Istituto Gaslini di Genova e le mie sorelle, ogni tre mesi, erano sempre a casa delle zie.

La trovo guardando gli occhi di mio zio e di mio nonno che ogni volta ci guardano con gli occhi pieni d’amore e orgoglio. La trovo nella mia nonna che da quasi un anno è diventata un angelo custode per tutti noi. Lei avrebbe voluto vedere mia sorella camminare prima che la sua malattia la portasse via, ma purtroppo non ce l’ha fatta a vedere questo suo grande sogno realizzato. La trovo nei miei tre piccoli nipoti che, giorno dopo giorno, mi danno la giusta carica per andare avanti e non arrendermi mai.

Non amo seguire la moda, anche perché la mia condizione fisica non me lo permette, ma amo leggere, scrivere e ascoltare la musica. Il mio mondo è tutto questo: famiglia, libri, una penna, un quaderno e un mp3. Queste cose, appena elencate, rappresentano per me delle valvole di sfogo. Leggere mi aiuta ad evadere in qualche modo dalla realtà e dal mondo e dal modo in cui vivo. In qualche modo leggere mi aiuta a immaginare il mondo che vorrei. La scrittura è la mia prima valvola di sfogo in assoluto. Scrivere mi aiuta, soprattutto quando durante la giornata ho dei momenti tristi. Mi piace mettere le mie sensazioni, le mie emozioni su un foglio di carta. La musica, invece, è la mia medicina. Io dico che la musica cura, un mondo senza musica sarebbe morto.

Questo è un periodo un po’ confusionario per me, perché devo scegliere la facoltà dell’università e non so in che facoltà iscrivermi. Mi piacerebbe, un giorno, lavorare nel sociale. Per il momento non c’è nulla che mi preoccupa particolarmente, ma essendo più matura e consapevole, mi preoccupa il giorno in cui io e mia sorella resteremo senza genitori. Loro per noi sono la nostra ancora in tutto e per tutto. Mi preoccupa il fatto di non essere totalmente indipendente e di farli andare via con delle preoccupazioni, ma Io non demordo e intanto dico che sperare in un mondo migliore non è mai sbagliato, perciò confido nella scienza e spero con tutto il cuore che alcune condizioni di vita possano alla fine migliorare e le malattie trovare un giorno una cura. Mi auguro un giorno che si possano eliminare le barriere architettoniche, ma soprattutto quelle mentali, in modo da farci vivere una vita che sia degna di essere vissuta. Un caro abbraccio Denis.

Adriana

 

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