Gli occhi di Josepha e l’abisso delle nostre coscienze

-di Guglielmo Agolino

Forse vi sarà capitato, di fronte all’“emorragia di umanità” del tempo in cui viviamo, di interrogarvi (sia pure per un istante!) sulla caducità dell’uomo. A me è successo spesso in queste settimane, soprattutto “alla sera” e lontano dagli affanni delle piccole cose del dì.

“Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?” Si chiedeva in un olio su tela di fine Ottocento il pittore Paul Gauguin (e pensare che quando l’avevo studiato al Liceo non gli avevo dato la giusta importanza, mea culpa!). L’artista dipinge quest’opera in un momento molto difficile della sua vita e si chiede tre cose sulle quali (credo!) dovremmo di sovente interrogarci per rinnovare l’impegno quotidiano nelle nostre esperienze di vita (personale, familiare, professionale, sociale, politica).

Al fondo, non ci troviamo anche noi, come l’autore, in un momento difficile del nostro tempo? Non è utile riscoprire (scoprire?) da dove veniamo, cosa siamo e stiamo diventando e dove vogliamo andare?

Non mi stupirebbe sapere che chi oggi vorrebbe chiudere i porti e bandire tutte le Ong dal Mediterraneo, viva prigioniero delle sue semplici certezze (#primaglitaliani), senza porsi alcuna delle domande di Gauguin. Nemmeno molta sorpresa mi provocherebbe sapere che guardi con rinnovato interesse a esperienze condannate dalla storia e che hanno provocato, per mano fascista (ed italianissima s’intende!), omicidi dimenticati e senza colpevoli nell’Africa orientale (ne parla ne “Il massacro di Addis Abeba. Una vergogna italiana” Ian Campbell).

Chi oggi vorrebbe costruire muri non soltanto non s’interroga, ma dimentica (se sa), o ignora (spesso?), che chi fugge “dal Sud del mondo” lo fa perché l’Occidente “civilissimo” ha, in quei luoghi, fermato le lancette della storia, prendendo in pegno quanto non eravamo in diritto di chiedere.

Forse con un lessico ormai inflazionato e tuttavia sempre efficace, è utile sottolineare ancora una volta come l’abisso della memoria e delle coscienze abbia fatto cadere molti nel sonno della ragione.

A poco serviranno, pertanto, le magliette rosse che, in un sabato di luglio abbiamo in tanti indossato, se la società in cui viviamo si sta lentamente assuefacendo alle tante foto di rassegnata disperazione scattate a largo del nostro mare e al fondo della nostra umanità (l’ultima in ordine di tempo è quella di Josepha e dei suoi occhi fissi, senza dimenticare quella del piccolo Aylan riverso esanime sulla spiaggia).

Di fronte a ciò, l’Italia (e, seppure in misura differente, anche l’Europa!) sembra sempre più assomigliare al gambero dinanzi all’alta marea. Indietreggia, preferendo ripiegarsi nei confini e nelle barriere di un mondo che pensavamo esserci lasciati alle spalle. Così facendo, rinunciamo ad affrontare veramente le difficoltà e le imperfezioni del nostro tempo presente. La politica del Governo costruisce un racconto in cui il vero “problema” è rappresentato dalla questione dei flussi migratori, riversando le “responsabilità delle nostre irresponsabilità” sullo straniero, su chi ha pelle, credo e costumi diversi. In definitiva, su un capro espiatorio creato “a bella posta”.

E riflettendoci bene, volendo guardare solo al nostro piccolo lembo di mondo, qual è il nesso causale tra l’immigrazione e la dilagante disoccupazione giovanile che affligge la Sicilia? Qual è quello che porta la maggior parte dei nostri giovani a continuare gli studi nelle università di altre regioni d’Italia? Qual è quello che li costringe a dover trovare un lavoro lontano da qui per poter fondare, su basi solide, un progetto dignitoso di vita?

Tra qualche settimana sarà agosto e, nella “notte dei desideri” staremo tutti col naso all’insù ad ammirare il “il cielo e le altre stelle”. E tuttavia, mentre contempleremo il firmamento al fianco di un amore fedele o degli amici di una vita, proviamo per qualche attimo a considerare non solo il cielo stellato sopra di noi, ma anche la legge morale dentro di noi.

Per chi si professa cristiano, invece, (in alternativa alla Critica della ragion pratica di Kant) basterà rileggere la parola di Gesù: «Ero straniero e mi avete accolto», Matteo 25, 43.

Guardiamoci dentro, dunque, con queste coordinate e, forse, riusciremo a dare al mare e a chi in esso affida tutte le sue speranze sfidando la morte (altro che pacchia!), un senso diverso di libertà, uguaglianza e fratellanza.

 

 

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