CHIAFURA SI, CHIAFURA NO! IGNAZIO LA CHINA DICE LA SUA OPINIONE.

CHIAFURA SI, CHIAFURA NO! ANCHE IO VOGLIO DIRE LA MIA.
Il recente laboratorio su Chiafura ha avuto il merito di riaccendere i riflettori sulla complessa problematica del mantenimento e valorizzazione del nostro patrimonio architettonico.
Ho avuto il piacere di essere presente alle conclusioni anche se gli impegni pastorali mi hanno impedito di seguire tutti gli interventi dopo la presentazione delle tre proposte dei gruppi di lavoro. Perciò propongo ora l’intervento che avrei voluto condividere con i presenti per l’occasione.
 Una prima osservazione che mi permetto di fare è che un vero reale recupero di Chiafura non può prescindere dalla sua valenza storica. Dalle proposte e dagli interventi che ho potuto ascoltare, sinceramente non ho visto tanta attenzione a questa dimensione, come se si trattasse solo del recupero di un qualsiasi quartiere urbano degradato. E la storia di Chiafura non è solo la storia nella sua fase finale degli ultimi aggrottati tra guerra e dopo guerra: è la storia di un quartiere che affonda le sue radici in epoche ancora precedenti al Medioevo e di cui non ho sentito parlare. Nessuno ha parlato di archeologia, nessuno ha parlato di quello che erano prima le grotte (alcune anche tombe “riciclate”), nessuno ha parlato del recupero di quelle tracce che ci potrebbero permettere di rileggere in modo scientifico le varie fasi della storia di Scicli. Faccio un esempio: nessuno degli interventi ha rilevato che la parte di grotte sotto San Matteo, ora coperte dal muro di sicurezza, costituiscono in realtà la parte più rilevante e antica dell’insediamento ebraico nella nostra città, e credo che un recupero dell’apporto, soprattutto economico, delle famiglie ebraiche della nostra città alla sua storia e alla sua rilevanza (si pensi a quelle che rimasero dopo la cacciata del 1492, convertite e attive ancora nei secoli a seguire) debba ancora farsi in modo serio e compiuto.
Ma per fare ciò, ed è questa la mia seconda osservazione, non si può assolutizzare Chiafura e isolarla dal contesto sia storico e perciò anche topografico in cui è inserita questa contrada.
Infatti non è che una delle contrade storiche di Scicli, e per i frequentatori degli archivi storici, nemmeno la più rilevante. Fra l’altro, non sappiamo ancora cosa significhi questo toponimo, e per la mia esperienza debbo rilevare che comincia a far capolino negli atti notarili a cavallo del terremoto del 1693: prima, negli atti quel versante del colle di San Matteo è indicato sempre come il quartiere di Santa Margherita (dalla chiesa che vi si trovava) collegato col Bauso da un lato e con Santa Barbara (anche qui un’altra chiesa) dall’altro e il piano di San Matteo dall’alto. Questa mia osservazione magari a qualcuno potrà sembrare banale, ma credo che sia necessario parlare e pensare Chiafura nel contesto di tutto il colle di San Matteo, anzi, di tutta la Scicli medievale che insiste non su un colle ma su tre colli, come il nostro stemma di città ci ricorda. La “terra et castrum” di Scicli insisteva non su uno ma su tre colli e l’aggrottamento interessava anche gli altri lati delle colline: basti pensare a tutte le grotte abitate lungo il lato della collina di Monserrato, sulla via di Montecampagna, aggettanti sulla cava di Santa Venera per finire sulla cavuzza di San Guglielmo, così come sull’altro lato di San Matteo, sulla cava di Santa Maria la Nova, con le grotte che vanno dallo Steri a Santa Lucia; ma non bisogna dimenticare nemmeno la zona aggrottata di via Altobello sulla collina della Croce. Per questo credo che ci voglia anzitutto uno sguardo complessivo, unitario, “panoramico” sulla città. Ben venga un recupero una valorizzazione di Chiafura, ma nel contesto più generale di un recupero dei quartieri storici dei tre colli. Non mi scandalizza il fatto che le grotte tornino ad essere abitate, a Chiafura come altrove, anzi, è un modo di restituirle alla loro vocazione originaria, purché questo sia fatto nel rispetto della archeologia, della storia e del loro significato per la città. Si recuperi Chiafura come quartiere abitato della città, ma appunto come quartiere, cioè come una parte di un tutto, in dialogo con le altre parti della città e, perciò, soprattutto nella fruizione di tutti i cittadini, senza farne una cittadella esclusiva e isolata, nuovo “ghetto” dorato per turisti o abitanti dai gusti raffinati. In concreto penso al colle San Matteo, nel suo insieme, che ritorni ad essere vissuto, con il suo Duomo, che potrebbe diventare il centro di appuntamenti non solo culturali, ma anche civili, simbolici e significativi per tutta la città. E quindi alla possibilità che le vie e i sentieri di Chiafura, ma come tutti gli altri, siano aperti e transitabili per tutti, per chi voglia salire e scendere a San Matteo, ripercorrendo le vie antiche di mercanti e pellegrini, magari immaginando le processioni barocche di San Guglielmo che scendevano da San Matteo a San Bartolomeo passando per Santa Margherita. Faccio questa osservazione perché non è possibile che chi ha lodevolmente recuperato case e grotte, e dobbiamo riconoscere anche l’investimento economico che permette anche l’occupazione di maestranze locali, però poi si senta autorizzato a chiudere vicoli e cortili, ma anche vie di passaggio pubblico, per crearne borghetti privati, cosa che sta succedendo, così come il recupero stesso delle grotte non può portare allo stravolgimento più o meno nascosto, della stessa tipologia topografica in modo da non permettere di leggere più il contesto storico in cui le case sono inserite. Purtroppo questo è successo e forse una vigilanza in questo senso sarebbe necessaria da parte degli uffici preposti, magari con un provvedimento di rimozione di cancelletti che ostacolano il percorso pubblico che da varie stradine porta ad esempio da Chiafura a Santa Margherita e a San Matteo (ma forse un controllo sarebbe necessario anche al Rosario e all’Altobello).
Per far ciò, ed è questa la mia terza ed ultima osservazione, non occorre pensare a interventi strabilianti, ad ascensori (ma poi perché questa mania degli ascensori? Scongiurato il pericolo di quello alla Croce ora ritorna quello a San Matteo!), funivie e torri di cristallo, credo sia sufficiente una messa in sicurezza anzitutto dell’esistente e un recupero dei sentieri così da permetterne anzitutto una prima fruizione a chi voglia fare una passeggiata “diversa”.  E magari eliminando o almeno abbassando in parte quel muro “della vergogna” che deturpa la visione del colle San Matteo. Se poi pian piano i sentieri si abbelliscono di aiuole e giardinetti, se qualcuno ritorna ad abitarci, se lungo il sentiero spunta un negozietto di souvenir o un punto ristoro, o si impiantano servizi, se magari alcune grotte sono pensate come spazi espositivi, se i locali sottostanti San Matteo diventano una sorta di antiquarium, se poi il sentiero ingloba il cammino per il Castello e la torre dei tre cantoni, lo Spirito Santo, il Castellaccio, si potrà formare così un percorso totalmente da apprezzare e condividere. L’importanza della questione credo debba coinvolgere in un pubblico dibattito l’intera città, e perciò voglio esprimere l’augurio di riuscire a superare la sciagurata tendenza, tutta sciclitana, di trasformare ogni dibattito in scontro fazioso tra opposte visioni e campo di battaglia tra rivalità politiche. Spero che stavolta si riesca a superare il solito giochetto di picche e ripicche e di veti incrociati per unire le forze in un gesto di amore e di attenzione anzitutto per la città di Scicli. Quello che forse a noi sciclitani manca è proprio un profondo amor patrio, che potremmo invece imparare dalle città vicine, che ci faccia mettere da parte un atteggiamento di polemica continua e di critica, spesso gratuita, che non ci fa uscire dal particolaristico, e non ci fa guardare in modo unitario e condiviso al bene comune e al futuro della nostra città. Non credo di poter essere smentito se affermo che il futuro socio-economico di Scicli passa anche, e soprattutto, per la valorizzazione del suo patrimonio artistico e storico-culturale.
Ignazio La China

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