ALBA SUI MONTI IBLEI- un racconto di Adriano Ficili

Quando la luce inondò i terreni ancora ammutoliti dalla fresca aria della notte, Nadia capì di essere riuscita a svegliarsi in tempo per ammirare il sorgere del sole. Aveva i capelli sfatti, gli occhi impastati dal sonno. Eppure, nonostante la stanchezza, si sforzava, in ginocchio tra l’erba, di seguire l’incanto dell’enorme disco giallo che sbocciava tagliando in due l’orizzonte. Il rossore che emanava percorreva l’enorme distesa di grano di cui Nadia era solo un piccolo punto e si perdeva sfumando oltre i confini dei campi. Cosa ci facesse là quel mattino è da chiedere ai cani del signor Licitra che avevano abbaiato a lungo la notte prima, quando la ragazza, sgattaiolando dentro la loro proprietà, aveva raggiunto l’albero sotto al quale l’aspettava Corrado. Il loro abbraccio era stato lungo, non tanto quanto la notte che sempre ai due pareva passar così veloce.

La luce creava vaste ombre sui crinali dei monti Iblei. E intanto sotto l’albero di carrubo, Corrado, adagiato alla corteccia che quasi gli trafiggeva la schiena, scriveva. Anche Nadia lo trafiggeva con lo sguardo: «ancora con la storia di quel giornalista assassinato?»                                                                                                                

«Lo sai qual è il mio lavoro» fece lui senza distogliere lo sguardo dal taccuino.

«Il tuo lavoro ti consente anche di non scriverle certe cose.»

«Beh, sai che mi piace dire la verità dei fatti.»

«Secondo me invece ti stai facendo influenzare troppo dalla storia di questo Spam… Spampana, no com’era? Spampona… no Spam…»

«Spampinato» intervenne Corrado «Giovanni Spampinato!»

«Beh sì, lui, o quello che è…»

«Senti, non parlare così, magari ce ne fossero di persone come lui, è stato ucciso sì, ma è perché faceva il suo lavoro, non come altri. Lui indagava…»

«E indagava troppo» proseguì Nadia.

«Ok, ora parli come tuo padre.»

«Scusa» fece lei, afflosciandosi come una fronda d’ulivo spezzata. L’immagine del padre le si era stampata in un attimo nella mente destandole brutti ricordi. «Ma che ci facciamo ancora qua?» proseguì, «usciamo dal campo prima che ci vedano, portami a casa». Corrado chiuse il taccuino. Si alzò e si diresse insieme a Nadia lungo il sentiero che saliva tra i vigneti.

Nadia lo seguiva, turbata, e rifletteva su quell’amore segreto che durava ormai da circa due anni, da quando suo padre le aveva proibito di incontrare quel ragazzo, dicendole che non faceva per lei, perché lui era uno di quelli curiusi, che si impicciava troppo, uno che faceva troppe domande. Lei invece ne andava pazza, amava Corrado proprio perché per anni si era battuto la testa contro chi gli chiudeva la porta in faccia, contro chi gli diceva di no, ed ora era arrivato a scrivere per un giornale importante, aveva ottenuto la sua visibilità, aveva realizzato il suo sogno. Il problema era che Corrado non si accontentava mai, e si era messo in testa di fare l’eroe, di scrivere un pezzo su un argomento scottante, un pezzo che di sicuro avrebbe fatto scalpore. Diceva di avere una pista, che presto avrebbe scoperto altri importanti dettagli della vicenda.

«Che vuoi fare oggi?» chiese lei rompendo il silenzio.

«Devo incontrare un tipo.»

«Chi?»

«Uno che commercia antiquariato.»

«Sta’attento!»

«Non deve mica mangiarmi, deve solo fornirmi delle informazioni per il mio articolo.»

«Quando uscirà il tuo articolo?»

«Tra circa una settimana.»

«Allora comprerò il giornale, di sicuro lo leggerà anche mio padre.»

«E farà i suoi soliti commenti…»

«Sì, ma da quando sa che non ci vediamo è più tranquillo, non mi chiede più quasi niente».

«E noi invece continueremo a vederci», e così dicendole, Corrado la strinse a sé baciandola con passione.

Alle quattro Corrado incontrò il signor Salemi, commerciante di antiquariato, che ultimamente aveva abbandonato la sua professione, comprando un appezzamento di serre nella zona di Vittoria. I due si sedettero al tavolino del bar Durose, in via Romolo, non molto distante dalla cattedrale di Ragusa. Conversarono per una buona ora. Il signor Salemi svelò i legami che esistevano tra i commercianti della provincia e un certo potere forte che agiva al di sotto dei traffici, parlò di un potere ramificato che aveva esponenti ovunque, un potere che non poteva essere abbattuto,  «pirchì iddi sù tutti cusuti», così disse il signor Salemi.

«Ma a lei cu c’ha porta a dirmi certe cose? Perché lo fa?» gli chiese Corrado.

«Cu mi ci porta?» fece lui indispettito, alzando la voce.

«Piano, non gridi!» fece Corrado.

«Ma ricu iu, ma lo vedi che ho dovuto abbandonare tutto, lo vedi che mi hanno tagliato fuori… mi hanno fatto uscire dal giro, solo perché avevo sbagliato a chiudere un affare…»

«E quindi lei ora cerca di vendicarsi rivelandomi tutte queste cose…»

«Nun mi interessa ciui nenti, se non fosse per mio cugino che mi ha trovato quel terreno, a quest’ora sarei senza lavoro, u capiscia lei? Lei lo deve far sapere a tutti quello che fanno questi u o m i n i  d ’o n o r e.»

«E presto cercheremo di farli arrestare anche, ma… ora mi dica un’altra cosa.»

«Mi chieda pure.»

«Diciotto anni fa, nel ’72, c’è stato l’omicidio di un giornalista, uno che con le sue ricerche stava scoprendo molte cose, il commercio clandestino, le sigarette, l’antiquariato… Ha capito di chi sto parlando?»

«Certu ca u capì, lei sta parlando del giovane Spampinato, Giovanni Spampinato! Ma lei u sa ca vi sumigghiati? Comunque, quello era un periodo caldo, molti affari erano segreti, e lui aveva toccato le persone sbagliate…»

«Quindi che mi sa dire in merito, quali erano queste persone? A chi facevano capo questi affari tanto importanti che Spampinato stava scoprendo? Dove avrebbero portato?»

«Allora» lo interruppe il signor Salemi protendendosi col busto sul tavolino, «ora facimu accussì, io le do un paio di nomi, e le dico altre due cosette, dopodiché mi alzo e me ne vado, ma non venga più a cercarmi, ha capito?»

«Ho capito» rispose irrequieto Corrado.

«Si prepari a scrivere!»

Corrado appuntò tutto: nomi, date, cifre… Poi si alzò dal tavolino. Era sudato. Strinse la mano al signor Salemi e i due uscirono dal Durose, imboccando strade diverse.

Corrado tornò a casa sapendo di avere in tasca una storia destinata a suscitare parecchi scandali. Quell’articolo che a giorni avrebbe dovuto consegnare stava assumendo una fattura diversa, significava riaprire uno squarcio in una vicenda che era ormai stata dimenticata, una vicenda di cui si era discusso ma che meritava di certo un approfondimento. Prese in mano la sua penna biro preferita, controllò il suo taccuino e si mise a lavorare all’articolo. Nadia intanto, come d’accordo, lo aspettava; sebbene un po’ meno, i cani avevano nuovamente abbaiato. Lo attese per altre due ore, poi spazientita tornò a casa. Si mise a letto e pensò all’alba del giorno dopo, a come sarebbe stata bella. Era quello uno dei suoi spettacoli preferiti, la faceva stare bene. Si sarebbe persa qualsiasi altra cosa, ma non l’alba, neppure se fosse stata sola al mondo vi avrebbe rinunciato. Anche Corrado si mise a letto, pensando che l’indomani avrebbe dovuto consegnare il suo pezzo per la pubblicazione.

L’indomani l’alba fu davvero magnifica. Nadia osservava il crepuscolo dalla finestra della sua stanza, mentre la luce accarezzava tenue i terreni. Corrado giunse alla redazione alle undici del mattino, dopo essersi rasato la barba e aver fatto un’abbondante colazione. Consegnò il suo pezzo e si avviò nuovamente verso casa. Si sarebbe un po’ rilassato tentando di ultimare il libro che aveva cominciato a leggere qualche giorno addietro: era Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Corrado era rimasto particolarmente colpito dalla figura del capitano Bellodi, uno che non si arrendeva mai di fronte agli ostacoli. E quando dopo un paio di ore arrivò a terminarlo, addirittura credé di amare questo personaggio: uno che alla Sicilia ci teneva, uno che l’adorava, e che nonostante tutto ci sarebbe tornato. “Mi ci romperò la testa” : quella frase del capitano Bellodi lo accompagnò fino a sera, fino a poco prima di incontrare Nadia, nel solito posto, nel campo del signor Licitra, il quale si era allontanato per un paio di settimane dalla sua tenuta, lasciandovi solo i cani, che non finivano mai d’abbaiare.

«Perché ieri sera non sei venuto?»

«Dovevo terminare il mio articolo, e mi sono scordato di tutto.»

«E ti scordi pure di me, bravo!»

Corrado la strinse forte, la baciò. Quella notte però tornarono a casa, faceva freddo, e il padre di Nadia non avrebbe più creduto alla storia di dormire fuori da un’amica. A mezzanotte Corrado era ancora sveglio, riordinava i suoi libri sopra le mensole. Alla radio stavano trasmettendo una delle sue canzoni preferite. Il telefono squillò.

« Pronto!»

«Corrado, scusa per l’ora, sono Buffardeci».

Era il caporedattore del giornale.

«Senti Corrado», riprese Buffardeci, «è accaduto un fatto che devi sapere: il signor Salemi ha subito un attacco, qualcuno sembra aver appiccato il fuoco alla sua casa in campagna, ne stanno parlando in TV. E non solo, hanno anche ucciso i suoi due cani. Ecco, voglio dire che… ci potrebbe essere un legame con l’incontro avuto con te, non so cosa si preciso ti abbia detto, ma so che ti ha passato delle… informazioni. Dunque, c’è ancora tempo per… non fare uscire il pezzo, potrebbero prendersela anche con te.»

Corrado sentì i muscoli del collo irrigidirsi. Alla radio la canzone faceva “words like violence, break the silence”. Era bella, ascoltarla gli dava un senso di benessere.

«Allora Corrado, dimmi che devo fare?» Corrado si sentì impietrire, era tutto così difficile ma la foto di Spampinato gli tornava sempre in mente e lo tormentava. Poi gli occhi gli brillarono, la voce gli tornò, chiara e decisa: «Buffardeci, non ci possiamo fermare, l’articolo deve uscire!”

Adriano Ficili

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