A Scicli tante indicazioni positive al Convegno sul “Quartiere Medioevale”. Un articolo di Chiara Ottaviano.

E’ stato un incontro importante quello a cui ho assistito ieri a Scicli, promosso dal Giornale di Scicli e coordinato da Mario Benenati. E’ stata una positiva occasione in cui ha preso forma la costruzione di quella “comunità patrimoniale”, raccomandata dalla Convenzione di Faro (che è proprio l’obiettivo principale dell’Archivio degli Iblei). Al convegno, a cui hanno partecipato autorevoli storici, rappresentanti di numerose associazioni culturali e amministratori locali, si è giunti dopo una lunga preparazione. Tema centrale è stato il futuro di Scicli, ovvero la capacità di attrarre flussi turistici anche oltre “il barocco e Montalbano”. Da tutti gli interventi , di grandissimo interesse, è emersa una straordinaria potenzialità: decine e decine sono i luoghi, poco o affatto conosciuti, di epoca antica e medievale, da valorizzare, mettere in sicurezza, ripulire, salvaguardare. Se al centro è il colle di San Matteo, definito da Paolo Nifosi, un ‘ “opera d’arte” nel suo complesso, hanno suscitato grande curiosità le tante chiese rupestri e il progetto dei percorsi turistici che potrebbero collegarle l’una all’altra, la lettura di Via Loreto (dietro a ruderi e portoni storie di Palazzi, famiglie e di ardite costruzioni scavate nella roccia), gli scavi archeologi, le grotte e lo Steri, le cisterne di Houel, vincolate dalla Soprintendenza negli anni scorsi ma non ancora visitabili. Non è stato solo un “elenco” di luoghi con antiche cartine e nuove foto, ma anche un’occasione per un’appassionante lezione di storia in pubblico: dietro quei “segni” del paesaggio c’è la storia politica, militare, economica, sociale di un territorio e di un paese che è andato formandosi attraverso epoche diverse. Quando il “riconoscimento” dei segni del paesaggio e la consapevolezza del loro valore non è solo un tema discusso fra studiosi ma comincia a essere condiviso da una comunità ( che diventa dunque consapevole del “patrimonio” materiale e immateriale da custodire, valorizzare e tramandare) si va nella direzione di una necessaria “comunità patrimoniale”. Credo sia questa la strada maestra anche del “fare” nel pubblico e nel privato.
Secondo la definizione di Diculther (Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities School), “l’appartenenza a una comunità patrimoniale è connessa con il fatto che tutte le persone che ne fanno parte riconoscano un valore al patrimonio culturale che esse stesse hanno contribuito a definire e salvaguardare. In ragione di questo valore riconosciuto del patrimonio culturale, materiale, ambientale e immateriale, le comunità patrimoniali si impegnano a rappresentarlo, trasmetterlo e valorizzarlo fuori da logiche discriminatorie o selettive su base etnica, di ceto o di appartenenza geografica con tutte le forme espressive e i canali comunicativi che sono nelle loro disponibilità, ivi comprese le più avanzate e performative tecnologie digitali”.

(da Archivio degli Iblei- Chiara Ottaviano)

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